Faremo due passi nella storia franciacortina con Angelo Paderni appassionato ricercatore storico passiranese che esprime un personale desiderio "Mi piacerebbe che i passiranesi dessero voce ai loro ricordi e alla documentazione che hanno lasciato i loro antenati. Servirebbe a dare respiro alla memoria che purtroppo è rimasta accantonata dentro di noi. "
Vi racconterò di don Domenico Zamboni, e per conoscerlo meglio proverò a ricostruire in poche righe com’era la situazione al suo tempo contestualizzandola nei luoghi della nostra cittadina che ben conoscete.
Passirano come tutta la provincia di Brescia, faceva parte della Repubblica Veneta dal 1426. Il dominio di Venezia non era tirannico e aveva lasciato alla città di Brescia la sua indipendenza amministrativa. A Venezia spettava solo la scelta dei governanti: i podestà per la vita politica e i capitani che erano responsabili dell’ordine pubblico. I bresciani sotto il dominio di Venezia, si ritrovarono sovente coinvolti in guerre che gli stati vicini intraprendevano contro la repubblica veneta. Dal Piccinino nel 1437, alla lega dei Cambrai di papa Giulio II e Luigi XII che avevano assediato Brescia conquistandola nel 1509, e alle varie alleanze con il papa e la Spagna (lega santa) che lasciarono Brescia sotto il dominio spagnolo riprendendola nel 1515. Era un continuo rimbalzo di potere, fino all’arrivo nuovamente dei francesi e Napoleone il 14 maggio 1796 che entrato in Brescia iniziò e restaurò quel governo chiamato Repubblica Cenomana e successivamente Repubblica Cisalpina. È in quella rivoluzione che con le nuove direttive vennero smantellate parecchie istituzioni religiose con la conseguente distruzione di numerosi documenti che sarebbero ora utili per la ricostruzione storica. Il ricordo di quegli anni secondo don Falsina rimane “sull’arco d’ingresso al brolo della casa masserizia Guarneri-Bonardi, in via Celestino Bianchi ‘A dì 19 Agosto Restauravit 27 Termidoro Anno 6 Repubblicano’ “ (se c’è ancora, spero che qualcuno lo fotografi e condivida il ricordo). Brescia dopo altri rimbalzi di potere, era passata nel 1814 sotto gli austriaci. Quegli anni, e l’idea di un’unica nazione dette spazio alle società segrete, la carboneria, a cui si iscrissero numerosi bresciani. Il governo austriaco era severo e i cospiratori, nel 1821 “col pretesto di allegri convegni simposiali”, si riunivano sul Montorfano “maturando in varie forme gli stessi suoi propositi, […] che pur deprecando gli orrori e gli eccessi della Rivoluzione Francese, non contavano di ritornare al superato dispotismo di un tempo”.
E qui inizia la storia del nostro don Domenico Zamboni che a contatto con l’intellighenzia bresciana, nella villa Ducco a Camignone accettò di partecipare agli incontri con i cospiratori che non tolleravano l’arroganza del dominio austriaco. Don Domenico si era iscritto al gruppo degli oppositori anche se nel processo che era seguito, aveva dichiarato che “era stato colto all’improvviso, dopo il pranzo senza lasciargli il tempo di riflettere”, ma fondamentalmente quelle idee le condivideva. Domenico era persona di notevole intelligenza e cultura, e a Passirano insegnava ai bambini delle elementari, anche se l’ispettore Basiletti lo aveva giudicato poco diligente.
L’amicizia con il Ducco lo aveva portato a frequentare i nobili cospiratori della zona. Si incontrò con i Fenaroli di Erbusco e di Passirano, i Calini di Calino, i Maggi della Spina, i Rossa di Bornato, i Soncini di Provezze, i Dandolo di Adro, i Martinengo e Averoldi di Paderno, i Richiedei di Gussago, i Provaglio di Saiano e molti altri. Ma quelle amicizie e l’intento dei cospiratori lo portarono il maggio del 1823, mentre era in casa, ad essere arrestato “da gendarmi armati cui si offerse, ben conscio del suo destino, scendendo dalla stanza per la scala che dava nella sala da pranzo”, ammanettato fu condotto a Milano nelle carceri di Santa Margherita, dove la prima visita l’ebbe da un certo Barucco “che percorse a lente e tenaci tappe tutta la lunga strada dall’andata al ritorno, a piedi”, e con sentenza dell’otto maggio 1824 come “correo del delitto di alto tradimento” fu condannato al carcere duro, “e per clemenza sovrana” fu ridotto ad un anno nelle carceri del castello del Buonconsiglio a Trento. In questo lungo periodo tra processo e prigionia, scrisse frequentemente al fratello. Le sue lettere, trovate nell’archivio Guarneri da don Falsina, sono 28 dal carcere di Milano e 11 da Trento. Nelle lettere domina il continuo chiedere notizie dei suoi famigliari, della comunità di Passirano, degli amici e a volte anche delle decisioni comunali. “E’ il buon prete rassegnato e pio, l’umanista ingenuo e sognatore che si ritira a placar l’animo nella torre dorata del classico esametro virgiliano, il fedele amico che non dimentica…”, scrive Falsina. “Carissimo padre state in buona salute. Amatissimo fratello state allegro. Dolcissime sorelle confortatevi. Pregiatissimo sig. zio mi conservi il suo amore?”. Nelle sue lettere è una costante l’attenzione ai suoi cari.
La prigionia finisce nel maggio 1825, e tornato nella sua Passirano, chiese al Governo austriaco di poter riprendere l’insegnamento, ma gli fu negato. Con la lettera del 9 aprile 1826 presenta al vescovo Nava il testo di un “forbito panegirico su San Zenone” che nella seconda festa di Pasqua aveva recitato dinanzi ai suoi concittadini, a dimostrazione che la prigionia non l’aveva piegato. Le sue idee non erano cambiate. Fu uno dei precursori del Risorgimento, anticipatore delle dieci giornate di Brescia, che visse orami vecchio maestro nella sua Passirano.
Aprì una scuola privata e continuò ad insegnare ai ragazzi, meritandosi l’appellativo di Signor Maestro.
Mi piacerebbe presentare qui una cantata inedita che ho trovato su un libro, ma mi divulgherei più del dovuto. Quasi certamente è opera del nostro Domenico. Ha come titolo “Le Gran Basi della Democrazia – Amore e Libertà” ed è dedicata ai cittadini di Passirano. Una delle strofe dice così: “Libertà, tu rompi i ceppi – Libertà, tu l’uomo innalzi – Libertade, ah dove annidi – Tutto reggi, tutto guidi – Alla sua felicità”, e finisce firmandosi “In segno della più tenera compiacenza – Un patriota di Brescia”.
Morì all’età di 83 anni il 24 giugno 1862 alle ore 11 pomeridiane per “decrepitezza” è scritto sul registro dei defunti.
Sul libro scritto da Ottavio Falsina, le vicende legate a don Domenico Zamboni sono descritte dettagliatamente. Né consiglio la lettura affinché anche questo personaggio passiranese non venga dimenticato.
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